lunedì 31 dicembre 2007

BUON 2008!!!!!!!!!!!!!!

A tutti: BUON ANNO!!!!!

giovedì 27 dicembre 2007

VIALE ANGELI - IL DIPINTO E IL DEMONE DELLA PIOGGIA 2

La radiosveglia suonò insistente e petulante. Ero contenta di poter tornare ad un vago senso di vita normale, nonostante gli ultimi episodi di cui ero stata protagonista.
Mi alzai stiracchiandomi, feci una veloce toeletta e poi, ancora con il viso gonfio di sonno mi diressi verso il piccolo cucinino per preparare una sostanziosa colazione per me e per Lucky, il mio adorabile cane fulvo. Accesi la tv, come sempre, per dare un’occhiata alle notizie del giorno e per sentire le previsioni del tempo.
Un senso di nausea mi prese, quando ascoltai l’ennesima, triste, storia di omicidio. La pioggia non sembrava voler smettere di inondare la terra. La rabbia e la violenza con cui precipitava faceva pensare a qualcosa di molto vicino alla fine del mondo.
L’estate sembrava ormai un sogno trascolorato.
Mi vestii, mi truccai velocemente, pettinai i capelli lunghi e neri, afferrai la borsa e la valigetta e corsi fuori di casa, con l’ombrello che, a fatica, riusciva a ripararmi.
L’appuntamento con i signori Invernizzi era alle 8.30 in punto davanti alla statua di Barbaroux, in piazza Galimberti.
Il traffico era piuttosto poco per essere mattina presto di un giorno feriale e questo non fece che migliorarmi l’umore.
Accesi la radio e la sintonizzai sulla mia radio preferita; radio stereo 5 e subito la voce di Claudio defluì carezzevole dagli altoparlanti.
I signori Invernizzi volevano che creassi una meridiana sulla parete della loro villetta e che restaurassi un vecchio dipinto che aveva fatto capolino da sotto la vernice scrostata di una parete interna.
Questo era il mio vero lavoro, nonostante le continue lotte con il mistero! Avevo ancora ben impresso nella memoria ciò che era accaduto a Villa Tornaforte. La pioggia cadeva prepotente e rumorosa sulla carrozzeria dell’auto e sembrava quasi volerla schiacciare sotto il fuoco incrociato di gocce enormi e impetuose raffiche di vento.
Amavo il mio lavoro ed ero grata di poterlo fare e di non essere costretta a stare dietro una scrivania. Amavo sentire il colore sulle mani, vedere i tratti di matita prendere forma sotto le attente pennellate.
Costruire una meridiana era sempre una sfida. Tutti quei calcoli ponendo come base i dati riportati sulla cartina militare. La valutazione della lunghezza e dell’inclinazione dello gnomone in base alla posizione della stella polare rispetto al muro che l’avrebbe ospitata. Tutti quei pensieri mi facevano sentire quasi normale!
La grande piazza apparve in tutta la sua estensione appena lasciai via Roma. La pavimentazione realizzata in cubetti di porfido le conferiva un’aria classica ed elegante e l’abbraccio discreto dei maestosi palazzi in stile neoclassico le regalava un aspetto aristocratico. Nelle giornate serene, era splendido osservare corso Nizza che pareva sfumarsi all’orizzonte insieme alle montagne che vegliavano sonnolente su quelle valli.
La pioggia impetuosa aveva reso lucida ogni superficie e molte finestre rivelavano l’uso anticipato dell’illuminazione elettrica. Trovai subito parcheggio.
Provavo sempre agitazione quando si trattava di incontrare dei nuovi clienti perché sapevo per esperienza che mi avrebbero dato del filo da torcere. Anche chi ama l’arte e non la pratica è soggetto al detto: gli artisti sono tutti un po’ pazzi.
Era ancora presto, nessuno sembrava aspettarmi accanto al monumento sferzato da vento e pioggia. Avevo fame e voglia di scaldarmi un po’. Ingannata dal calendario che mi ricordava che il mese in corso era ancora quello di agosto, mi ero vestita con una camicetta leggera ed un paio di pantaloni altrettanto leggeri. Purtroppo il tempo sembrava non seguire il mio stesso calendario. Decisi di fare una breve scappata al bar Piazza, dove mi concessi una seconda e veloce colazione. Cinque minuti dopo, avevo già pagato ed ero sotto i portici ad aspettare di individuare il mio possibile cliente.
8.30 in punto.
Scorsi un uomo robusto, tarchiato con spessi baffi neri ed una calvizie incipiente che a grandi falcate si dirigeva verso il luogo dell’appuntamento. Gli corsi incontro e lui mi raggiunse senza la minima esitazione; come se sapesse esattamente chi fossi.
“La signorina Clelia?”
“Si, il signor Invernizzi immagino.” Risposi un po’ stupita dalla sua sicurezza.
“Viene con me o preferisce seguirmi con la sua macchina?” tagliò corto.
“Se non le creo nessun disguido verrei con lei.”
“Non si preoccupi. Mi segua per cortesia.”
Non mi diede il tempo nemmeno di voltarmi che già lo vidi attraversare la piazza quasi correndo. lo raggiunsi e salii sulla panda gialla, nuova e profumata di pulito.
In pochi minuti fummo sul viale Angeli, davanti ad un cancello di ferro battuto.
Quante passeggiate avevo fatto su quel viale, nelle sere tiepide d’estate, cullata dall’andirivieni dei fidanzati mano nella mano che guardavo anche con una certa invidia. Era così tanto tempo che stavo da sola. Il pensiero volò senza che me ne accorgessi e mi riportò alla mente Alberto. La relazione era finita quasi due anni prima, eppure non riuscivo a dimenticarlo; a passare oltre. Forse perché la rottura era arrivata senza preavviso e quando ancora eravamo innamorati. Ero stata io a lasciarlo. Dopo sei anni di fidanzamento, giustificandomi con me stessa e convincendomi che l’avevo fatto per lui, per non nuocergli. Per non farlo soffrire. Per non coinvolgerlo in quella vita priva di serenità.
Mi ridestai da quei pensieri e osservai la grande villa in stile liberty dei primi del novecento, che troneggiava al centro di un bel prato verde brillante. Il cancello automatico si aprì per lasciarci entrare nell’elegante parco cintato dal basso muretto. Sulla porta, in attesa, una donna minuta con i capelli rossi ed una abito da casa lilla. Invernizzi parcheggiò in uno spiazzo retrostante la casa dove lei ci raggiunse.
“Corinne, la signorina Clelia. Vuoi accompagnarla in sala e prepararle un buon caffè per cortesia?”
La seguii. All’interno era buio; come tutte le case di quell’epoca aveva stanze enormi, soffitti altissimi, mura spesse un metro e finestre lunghe e strette.
“Prego si accomodi.” Mi invitò la donnina minuta.
Mi accomodai sul divano immacolato. Tutto in quella sala faceva pensare a ordine e pulizia. Nulla era fuori posto, tanto da sembrare una farsa da esposizione. Non erano presenti foto o ninnoli che dessero un’impronta personale.
Il caffè arrivò quasi subito, accompagnato da un piattino pieno di biscotti che avevano tutta l’aria di essere stati fatti in casa. Dovevo fidarmi?
“Bene, io e mia moglie vorremo dare un’occhiata ai suoi precedenti lavori e sapere come procederà con i nostri, quanto tempo ci vorrà e quanto ci costerà. Per cortesia.”
Non avevo contato quante volta aveva già pronunciato le parole ‘per cortesia’, ma ero certa che fossero tante e il tono in cui le pronunciava non era affatto cortese, ma direi piuttosto impaziente e sbrigativo.
Passai l’album con le foto dei lavori al signor Invernizzi, illustrai il modo in cui intendevo procedere e risposi a tutte le loro domande.
Dopo aver ascoltato attentamente, il signor Invernizzi mi restituì l’album.
Sembrarono convinti. Mentre ascoltavo compiaciuta la loro decisione di affidarmi il lavoro, qualcosa mi sfiorò la spalla facendomi trasalire e rischiai di rovesciare il caffè sul divano perfetto.
La sensazione che mi lasciò addosso non mi piacque e mi ricordò, mio malgrado, che la regina delle fate nere non era morta e che quindi c’era sempre la possibilità che riuscisse ad aprire nuovamente la porta tra i due mondi.

Arrivò il giorno prestabilito per l’avvio dei lavori; caricai le tre cassette degli attrezzi sull’auto e guidai con calma verso Cuneo. Quando mi fermai davanti alla villa trovai un foglio fermato con del nastro alla maniglia del cancello e riparato dalla pensilina. Spiccava il mio nome scritto con un pennarello rosso.
scesi dall’auto e maledicendo la pioggia staccai il biglietto e mi tuffai di nuovo sul sedile per leggerlo.
Sono dovuta uscire un momento, ma tornerò per le 9.30. La portina di fianco al cancello è aperta. Una volta in casa potrà aprire il cancello con il pulsante che c’è dietro la porta d’entrata sulla sua destra ed entrare con la macchina. Le ho lasciato del caffé in cucina.
Corinne
Bene! Ci voleva anche questa e per giunta non avevo neppure un ombrello! Dopo giorni di cielo sereno, pareva che la pioggia avesse atteso proprio quel giorno per ricominciare a cadere.
Comunque, visto che non potevo fare altrimenti, cercai di correre più veloce possibile e di guadagnare la porta prima che la pioggia riuscisse a bagnarmi anche gli indumenti intimi.
Ci riuscii, trovai il pulsante, ripetei l’incredibile prestazione sportiva e finalmente sistemai l’auto dietro casa.
Quando varcai nuovamente la soglia ero fradicia, non riuscivo a smettere di rabbrividire.
Seguii il consiglio di Corinne e trangugiai il caffé ancora caldo. Dopo un momento di pausa recuperai la borsa con le spatole e gli altri attrezzi per scrostare e mi trasferii nella stanza del dipinto.
Presi la spatolina più piccola e cominciai, molto delicatamente, a togliere la sottile pellicola di vernice, che come un vecchio vestito copriva il corpo del dipinto.
Corinne arrivò, come aveva scritto, alle 9.30. Mi salutò e salì subito al piano di sopra. Disse che sua figlia aveva bisogno delle sue pillole. Non sapevo che avesse una figlia e neppure che ci fosse stato qualcuno in casa quando ero arrivata.
A mezzogiorno Corinne non era ancora scesa ed io ero quasi in stato di trance davanti ad una cosa impossibile. La sensazione di una presenza non umana si faceva sempre più forte. I colori del dipinto erano vecchie terre e questo era comprensibile vista l’epoca in cui doveva essere stato fatto, ma lo strano personaggio ritratto aveva un orologio da polso digitale!
Poteva essere stato aggiunto in seguito, ma i colori utilizzati erano gli stessi… l’orologio segnava il mezzogiorno. L’uomo con l’orologio possedeva uno strano fascino. Lo sguardo era profondo e quasi vivo. Il viso privo di rughe e con un sorriso appena accennato gli conferiva un’aria importante, altezzosa.
Quando Corinne scese e si ritrovò davanti a quello spettacolo impallidì.
“Oh santo cielo!”
“Ha notato anche lei l’orologio?”
“Cosa? Ah, si certo… l’orologio. E’ incredibile non è vero?”
“Direi proprio di si.”
“Le dispiace se rimango qui a guardare mentre lei continua a lavorare?”
“No, anzi.”
Mi faceva piacere un po’ di compagnia in quella stanza così buia e lugubre.
Continuai il delicato lavoro di recupero, ma feci un balzo quando sentii una voce gridare ‘mamma’ dal piano di sopra. Non sembrava la voce di una bambina, ne tanto meno di una ragazza… piuttosto il ringhio di un grosso felino. Corinne si alzò e corse su per le scale senza dare alcuna spiegazione e dando l’impressione di essere alquanto imbarazzata se non addirittura spaventata.
Verso l’una mi fermai e osservai, rapita, quello che era venuto alla luce. Mi sembrava di sentire un richiamo muto provenire da quelle vecchie pennellate di colore. Mi domandai che fine avesse fatto il signor Invernizzi, dal momento si era ripromesso di passare verso l’ora di pranzo per vedere come procedevano i lavori e per darmi un acconto.
Verso metà pomeriggio trovai la cornice superiore, quella inferiore e quella del lato destro. Calcolai che doveva essere largo circa due metri, mentre l’altezza era di un metro e trenta. Di questo passo l’avrei riportato alla luce, nella sua interezza, entro sera. Alle 18.00 era completamente ripulito.
Mi fermai, mi allontanai di qualche metro e mi accosciai per contemplare quel singolare dipinto.
Erano presenti quattro figure. Uno era il fascinoso personaggio con l’orologio. Il secondo era una bambina sui sette anni, con bellissimi ricci biondi legati con dei nastri bianchi e grassocce guance rosa.
La bambina teneva per mano l’uomo con l’orologio. Dietro di loro, un ambiente cupo color amaranto. Le pareti erano amaranto, le poltrone lo erano e anche i tendaggi drappeggiati. Tutto sembrava avere i colori mutevoli del velluto. Lo sguardo dei due era felice e fiero e faceva a pugni con ciò che c’era alla loro sinistra. Un uomo con il viso distorto, come da un dolore lancinante o da una paura intensa. Un puro terrore, di quelli che ti possono far impazzire. La fronte imperlata di sudore ed un rivolo di sangue vicino all’occhio destro.Una donna reggeva un vassoio sul quale erano adagiati due bicchieri colmi di un liquido rosso… forse vino. Oltre a quell’uomo con i baffi, urlante, il dipinto in se era ben fatto anche se inquietante.
Mio Dio… è orribile!
L’orologio digitale segnava le 18.30. Indietreggiai rapita e spaventata dall’atmosfera che faceva respirare l’immagine che avevo davanti ed improvvisamente mi resi conto di non essere più sola in quella stanza. L’orrore e la paura ebbero il sopravvento quando scorsi davanti a me Corinne che teneva per mano una bambina dai riccioli biondi e le guance rosa.
“Non è colpa sua… in fondo è buona… è mia figlia..”
“Mi avete ingannata! Sapevate che cosa c’era in questo dipinto e qualcuno vi ha dato ordine di eliminarmi. Non è così forse?” Ero fuori di me dalla rabbia. Sentii la testa che girava. Mi aggrappai con tutte le forze ai miei poteri sopiti e sollevai il medaglione. Non avevo mai sentito parlare di quel dipinto e neppure sapevo che ci fossero altre porte da cui le forze oscure potessero passare. Tra quelle mura ci sarei morta. Nessuno dei miei poteri funzionava e l’amuleto sembrava un qualsiasi oggetto di bigiotteria.
L’uomo con il viso distorto dal dolore somigliava in maniera impressionante a Invernizzi! Come aveva fatto a non accorgersene prima!
“Mi creda Clelia… non volevo che la bambina arrivasse a questo, ma ha dovuto difendersi… lui la odiava perché non era sua figlia… la sgridava… la sgridava sempre per niente. Ieri sera, dopo che l’ha chiamata bastarda non ho potuto calmarla… Io amavo suo padre e pensavo che lui amasse me… mi aveva detto che voleva un figlio da me, che ne aveva bisogno ed io gli ho dato ciò che voleva. Mi ha promesso che sarebbe tornato con noi se solo avessi portato lei qui. Non potevo rifiutare. Mi capisce?”
“Lei è pazza. Non sa che cos’ha fatto. Non sa cosa succederà al mondo intero se io non riuscirò ad uscire di qua.” Ormai stavo gridando con voce tremante di paura e rabbia. Non ero preparata per questo! Non ne sapeva niente!
“No… la prego, non faccia così. La mia bambina dipinge. Ha visto che brava… dipinge con la mente. Fa tutto con la mente e finché la terrò sotto sedativi non farà del male a nessuno. ”
Quella creatura adorabile aveva risucchiato lo stesso Invernizzi nel suo personale mondo e lo aveva ‘dipinto’ nel suo modo tutto particolare. Ma non aveva dipinto solo il suo corpo. Aveva dipinto la sua anima; turbata, terrorizzata e rinchiusa in chissà quale limbo.
Corinne piangeva e sussultava; guardava la bambina e le rispondeva come se anche lei stesse parlando, ma senza fare un solo fiato.
“… si era davvero un bell’uomo tuo padre e tu gli hai reso giustizia dipingendolo… sei molto brava. Molto. No tesoro, non credo che Clelia starebbe bene vicina a tuo padre e poi la mamma sarebbe gelosa. Tu non lo vuoi vero?” La donna mi guardò di sottecchi, tentando in ogni modo di distrarre la bambina. Sembrava pentita per aver accettato di portarmi lì e che volesse in qualche modo rimediare. La pioggia si abbatté sulle finestre facendo esplodere quella del lato sud. Le schegge volarono in tutta la stanza, trasportate dal vento.
l’urlo della bambina fu terrificante. Lei voleva me, ma sembrava aver bisogno dell’approvazione della madre
Quando capii di cosa stavano parlando, indietreggiai lentamente fino ad avere la porta alle spalle e dando un ultima occhiata a quel diabolico dipinto mi accorsi che l’uomo aveva mutato espressione ed ora dava l’idea di essere adirato… la data sotto la firma incomprensibile, era il 24 agosto 2007! Sgusciai fuori dalla stanza , corsi attraverso l’atrio, schiacciai il bottone che apriva il cancello e saltai in macchina. C’era un silenzio che non avrei mai più udito. Avrei presto dovuto eliminare quell’aberrante demone, ma non era questo il momento. Prima avevo bisogno di parlare con il vecchio e la ninfa.

La bambina guardò sua madre e nel suo sguardo non c’era nessuna innocenza. Gli occhi privi di anima dissero alla mamma che anche lei aveva un volto interessante da ritrarre…

sabato 22 dicembre 2007

Buon Natale!!!!


Buon Natale a tutti!!!!

martedì 18 dicembre 2007

Copertina n° 2


Eccoci qua...

Giraldi si è fatto sentire finalmente e pare che entro venerdì avrò la prima bozza.

Sulla scia di un appunto fatto da Max, ho chiesto come mai il sito non viene mai aggiornato... non mi hanno risposto... o meglio, hanno risposto all'email, ma non a quella domanda.

Comunque, ci tengo a dire che le persone con le quali ho parlato si sono sempre dimostrate molto gentili e Silvia non fa eccezione.


Ora vi mostro la copertina che ho fatto per il romanzo che verrà pubblicato da loro. Pare l'abbiano molto apprezzata.

domenica 16 dicembre 2007

Giraldi

Oh mamma mia... che giornata venerdì...
Mi sono alzata e sono andata in cucina per il caffè (decaffeinato se no mi viene mal di stomaco) e ho trovato la caldaia impazzita.
Era quasi a 4 bar e perdeva acqua da tutte le parti.
Inutile dire che l'ho spenta e ho chiamato il tizio che di solito viene per fare la manutenzione annuale e sono rimasta a casa dall'ufficio.
Ne ho approfittato per scrivere un racconto per dopo capodanno, un articolo e continuare un po' il mio romanzo.
Mattinata piena quindi... ho anche finito la copertina del libro per Giraldi.
Il telefono ha squillato tutta la mattina.
Mio marito che chiedeva se la caldaia era infine esplosa, l'idraulico che mi dava indicazioni su come far scendere la pressione, mio padre... e poi...
Silvia... della Giraldi editore...
Tutto subito mi sembrava impossibile... invece era proprio lei che si scusava per i ritardi, che mi domandava se avessi in mente una copertina, che mi chiedeva come preferivo il primo giro di bozza...
Insomma, finalmente ci siamo anche per il mio primo romanzo cui spero di dare un seguito perchè si presta a un secondo volume e ci sono affezionata.
Che bei regali di Natale quest'anno... non credo potrei chiedere di più.
Le cose stanno andando bene anche perchè, grazie a questa passione, ho conosciuto e sto conoscendo delle persone eccezionali.
Un abbraccio a tutti.

mercoledì 12 dicembre 2007

LA PORTA TRA I DUE MONDI - RACCONTO 1

LA PORTA TRA I DUE MONDI





Nessuno se n’era accorto. O forse si. Qualcuno ci aveva fatto caso. D’altra parte io me n’ero accorta no? Perché pensare di essere l’unica al mondo?
Ne ebbi la prova certa ed inconfutabile il giorno in cui decisi di fare visita a Villa Tornaforte. Non so perché, ma sentii come la necessità di immergermi in quel parco rigoglioso, ammantato dal silenzio irreale che solo i luoghi magici possono avere. Stavo passeggiando sotto i portici di via Roma, le vetrine sfilavano davanti ai miei occhi come tanti inviti senza voce. Era sabato e sembrava che tutti quanti avessero sentito il bisogno di scendere in strada in quella bella giornata di sole. I portici, con il loro fascino d’altri tempi parevano racchiudere in un abbraccio protettivo le centinaia di uomini, donne e bambini che, sorridendo, li percorrevano. Ero ferma davanti ad uno dei bar più rinomati di Cuneo. Il Côni Veja, con il suo arredamento classico, le colonnine dorate ad incorniciare le vetrine e lo splendido mosaico davanti all’entrata. Il profumo di caffè mi solleticava le narici. Osservai la mia immagine riflessa nella vetrina e capii che era successo. Non l’avevo sognato. Dietro di me, l’immagine riflessa di una donna, volteggiava come stesse ballando alle note di una musica antica come il mondo. Fu il suo abbigliamento a costringermi a voltarmi. Un abito lungo, leggero come l’aria e luminoso come se irradiasse esso stesso luce. Mi voltai e dietro di me, una famiglia con due bambini stava passando, con le borse dei nuovi acquisti con il logo di Zara ed un gelato in mano. Non c’era nessuna donna con l’abito luminoso. Una folata di vento gelido mi scompigliò i capelli e non sfiorò nessun altro che me. Nessuno parve accorgersi di quel fiato di morte che era passato, veloce, tra i sorrisi e le parole dei Cuneesi ignari.
In quel momento ebbi la certezza che il mio lavoro non era ancora finito.
L’ultima volta che ebbi a che fare con uno spirito tanto potente, mi trovavo a Torino. Ero stata chiamata da una giovane vedova convinta di avere un terribile gnomo nascosto nel giardino. Pareva si dilettasse a ucciderle le galline e fargliele trovare meticolosamente appese davanti alla finestra della camera da letto. Era un essere forte, antico e cattivo e mi ci volle tutto il potere di cui ero capace per eliminarlo.
La profezia… ecco quello che significava!
Un’antica profezia tramandata oralmente nei secoli, mi era stata raccontata da un anziano che abitava solo, in una piccola casa pericolante, a Chiusa Pesio. L’avevo cercato per molto tempo prima di riuscire a trovarlo ed era successo mentre mi riempivo gli occhi del verde scuro dei boschi attorno a Pradeboni. Mentre mi riempivo i polmoni dell’aria ancora pungente di aprile. Stava seduto sulle sponde umide del Pesio a fissare chissà cosa e chissà dove.
Mi ero avvicinata con cautela perché avevo sentito provenire dalla sua persona un’energia sconosciuta ed allo stesso tempo famigliare. Non si era girato, ma mi aveva accolto come se mi stesse aspettando da sempre.
“Aspettavo da tanto questo momento.” Mi disse.
Io non risposi. Rimasi ad osservarlo e ad aspettare che fosse lui a parlare.
“Siedi qui vicino a me.” Disse, indicando la roccia umida.
Feci come mi aveva chiesto e lui continuò a rimanere in silenzio, fissando l’acqua del fiume che s’increspava e gorgogliava nell’impeto di vita che solo la primavera può portare. Stavo per porgli delle domande, quando il rumore simile ad un sasso lanciato in acqua mi fece voltare di colpo verso valle.
“Eccoti finalmente!” gioì l’uomo parlando in un piemontese stretto che persino io, piemontese da centinaia di generazioni, faticavo a capire. Non capii con chi stesse parlando fino a che un raggio di tiepida luce non le finì addosso.
Compostamente seduta sulla roccia lucida di acqua, si stava lisciando come fosse un gatto e guardava quell’uomo come la ninfa Eco guardava Narciso; con un amore che va al di là di quello che un umano può comprendere. Capii immediatamente che era uno spirito dell’acqua, proprio come Eco. Un’ondina, una ninfa, una nereide. La sua bellezza non era bellezza, ma pura perfezione. Minuta, sottile, con la pelle luminosa e pallida. Il viso perfetto e levigato. I capelli lunghi e del colore dei fili di miele sotto i raggi del sole.
“Ti aspettavamo.” Mi ripeté lui.
“Perché?” chiesi con la pazienza che cominciava ad esaurirsi.
“La fata nera è di nuovo sulla terra.”
Rimasi a bocca aperta per un tempo interminabile, cercando di giustificare le conoscenze che stava dimostrando quell’uomo, ma non trovai una sola ragione per non credergli.
“Nicnivin Quiete è tornata. La corte di Unseelie non faceva più per lei.”
“Come fai a conoscerla? Come fai a sapere queste cose?”
Indicò con un cenno del capo la piccola ninfa dai capelli di miele. “ Lei. Lei mi ha avvertito quando Nicnivin stava per trasformare mia figlia in qualche orribile mostruosità. Lei ha salvato mia figlia ed ora io vengo a vegliare su di lei. Perché Nicnivin non possa farle del male.”
La fata nera di cui stava parlando era conosciuta dalla notte dei tempi da tutti coloro che si erano un minimo interessati alle leggende celtiche. È la regina della tenebra, colei che regola luci ed ombre e che può trasformare qualsiasi cosa a suo piacimento. Colei che dell’illusione fa la sua legge e la sua regola.
Perché era tornata?
Molti anni prima, verso i primi del novecento, un uomo coraggioso e pieno di inventiva era riuscito, con l’aiuto di un amuleto potente, a chiudere la porta che dal suo mondo fatato portava fino al nostro.
Quell’uomo si era sacrificato per questo; aveva donato la sua vita per far si che l’umanità tornasse al sicuro e i due mondi non si mescolassero più tra loro.
Quell’uomo era il suo bisnonno e l’amuleto ora lo aveva lei. Appeso alla pesante catenina d’oro, pendeva e si appoggiava sul suo cuore, sotto il maglione pesante.
Una ventata gelida spazzò l’erba nuova e profumata. Mi scostai i capelli dal viso.
“Sapevamo che saresti venuta.” Ripeté ancora annuendo con il capo e sorridendo lievemente, come se il mio arrivo gli avesse tolto un grosso peso dal cuore.
“Come potevi saperlo?”
“E tu come facevi a sapere che dovevi parlare con me?”
Già! Come facevo a saperlo? In realtà non lo sapevo. La mia era solo una sensazione. Una forte sensazione, che m’imponeva di cercare l’uomo che sapeva la leggenda.
“Io ho bisogno di sapere che cosa sai tu della leggenda. E non mi domandare quale leggenda perché non lo so. So solo che è importante.”
L’uomo sospirò e rivolse lo sguardo verso i raggi di sole che bucavano le chiome degli alberi e si riversavano, pulite e leggere sul folto sottobosco.
Mi disse che Ecain, la ninfa, gli aveva detto di aspettare sulle sponde del fiume, una donna dai capelli di tenebra e gli occhi del colore delle foglie d’autunno e lui così aveva fatto.
Potevo negare di essere io quella donna; mi chiese.
No, non potevo negarlo.
Mi raccontò tutto ciò che sapeva e come se nulla fosse, mi salutò e se ne andò.
Rimasi sulla sponda del fiume e non riuscii ad andarmene fino a quando non cominciai a rabbrividire per il freddo e l’oscurità completa della notte non avvolse tutto nel suo gelido manto.
Adesso, guardando sfilare i turisti tra le bancarelle del mercatino dell’antiquariato, capii che non c’era più tempo da perdere. Sapevo quello che avevo visto, riflesso in quella vetrina e non potevo voltarmi dall’altra parte facendo finta di nulla. Oltrepassai corso Brunet; il cielo si stava rannuvolando e l’aria era quella pesante e afosa di un fine agosto davvero bollente.
Svoltai in via Piave e mi diressi verso la mia auto. La splendida giornata stava lasciando il posto ad una sera limpida. Avrei tanto desiderato poter dimenticare tutta quella storia e riprendere la mia vita da dove l’avevo lasciata, ma non potevo. Quel dono, quell’amuleto aveva fatto di me qualcosa di più di una donna. Quell’amuleto, forgiato sulla bocca degli inferi mi aveva fatto diventare ciò che fu mio nonno.
Una purificatrice.


Con pazienza mi misi in coda in corso IV novembre, diretta a Madonna dell’Olmo. Sapevo per certo di trovarla lì. Qualcosa mi spingeva in quella direzione, come fosse la corrente leggera di un mare caraibico ed io la seguii. Mi feci trasportare e cullare fino a che non mi resi conto di essere già arrivata alla fine del ponte. Svoltai a destra e proseguii. Oltrepassai il canile dove avevo adottato la mia Lucky e finalmente si stagliò all’orizzonte la bellezza e la maestosità di quella villa da sogno. Da sempre mi aveva attratto la sua storia, tra il reale e l’immaginario. Cos’avrei dato per poter parlare con la Bernardi! Purtroppo aveva lasciato il mondo dei vivi proprio quell’anno e non potevo certo importunare Valmaggia per parlare di certe cose!
Mi avrebbe come minimo presa per pazza!
Avevo una mia idea su che cosa fosse accaduto e sul perché, ma desideravo che fosse lei stessa a dirmelo e possibilmente, prima di trasformarmi in un essere mostruoso come voleva fare con la figlia dell’anziano. Decisi di parcheggiare l’auto dal distributore e mi avvicinai a piedi all’imponente cancello. Era chiuso e il cartello con gli orari era divelto e buttato in un angolo. Poggiai le mani sul ferro tiepido di sole e mi stupii a scoprire che non era affatto chiuso, ma solo accostato. Lo spinsi ed entrai. Sulla sinistra si apriva il parco che proseguiva a perdita d’occhio
Capii subito che la Villa era chiusa ed un cartello avvertiva che le visite erano state interrotte per lavori di ristrutturazione.
In pochi minuti il cielo si fece buio e le nuvole cariche di pioggia si addensarono in ampie volute grigio scuro. Rimasi un momento a guardare quella splendida costruzione del XVII secolo e ne rammentai la storia, sentita chissà quanto tempo prima e mai dimenticata. Era nata sulle ceneri di un vecchio monastero agostiniano per volontà di Bruno di Tornaforte. Il parco tutt’attorno era splendido e immenso e non per nulla veniva utilizzato per i servizi fotografici di molti novelli sposi. Seppi subito di essere osservata dallo sguardo non umano che si celava tra gli alberi, in nervosa attesa. Aveva aspettato per tutto quel tempo. E forse non aveva aspettato per sua volontà. Qualcuno l’aveva tenuta sotto controllo. Qualcuno che sapeva e che aveva dimestichezza con le pratiche esoteriche. Forse la stessa proprietaria della villa. E ancora forse, per questo, era uscita allo scoperto solo ora che lei non c’era più.
Infilai la mano sotto il maglione e tirai fuori l’amuleto. Non diede alcun segno fino a quando non feci qualche passo in direzione del grande lago. Era la prima volta che mi trovavo faccia a faccia con una creatura così potente. Tremavo come una foglia anche se, la brezza che scompigliava leggera le fronde degli alberi secolari, era tiepida.
Non volevo ammetterlo, ma avevo paura.
Non ero nata con l’idea di fare quel che facevo. Mi ci ero trovata in mezzo e avevo dovuto farlo, come chi si trova improvvisamente in mezzo ad una mare in burrasca ed è costretto a nuotare per trarsi in salvo. Non sapevo se questa volta mi sarei salvata. Non sapevo se ero pronta per una cosa del genere.
Un profumo intenso di fiori mi investì come uno schiaffo. Pura illusione, pensai.
L’intensità di quel profumo mi fece venire la nausea.
Un rumore assordante mi avvolse stretta come se fosse dotato di una consistenza reale e tangibile. Mi tappai le orecchie, ma il rumore era attorno a me, dentro di me. Ovunque.
In mezzo al lago, un bagliore accecante sembrò esplodere in ogni direzione. La mia mente tentò di ristabilire il controllo, ma tutto dentro di me urlava solo una parola: scappa!
Feci per voltarmi e darle ascolto e fu allora che l’immagine ingombrante del mio avo mi si parò davanti.
“Non puoi scappare!” mi rimproverò.
“Tu non sei reale!” gridai per sovrastare il rumore.
“Lo sono come lo sei tu. È questo posto che me ne da la possibilità. È questo varco tra i due mondi. Devi chiuderlo e devi farlo una volta per tutte. Per troppo tempo quella porta è rimasta solo socchiusa e guardata a vista da una donna forte e decisa. Ora che questa donna non c’è più è necessario che la porta venga chiusa per sempre!”
“Io non posso farlo!” gridai.
“Ascoltami Clelia! Ascoltami! Chiudi quella porta subito o tutto il mondo sarà invaso da ciò che si cela dietro. Le Banshee torneranno a urlare il loro avvertimento di morte, le streghe torneranno a popolare la terra. E Dio solo sa cos’altro!”
l’immagine si affievolì un poco per poi tornare nitida.
“Che cosa ho a che fare io con tutto questo? Perché io?”
“Perché tu sei…” un’onda di pura energia lo investì in pieno e l’immagine esplose in miliardi di piccolissime schegge luminose e incandescenti, colpendomi e scaraventandomi a terra, sull’erba umida e profumata di recenti tagli.
“Chi sono?” gridai al vento.
“Chi sono?” ripetei disperata per aver perso forse l’unica possibilità di sapere.
Una presenza alle mie spalle mi fece voltare di scatto. Rotolai sull’erba e mi alzai.


Stava di fronte a me. Bella come solo un’illusione può essere. I capelli corvini le ricadevano addosso come fossero un lungo mantello ondulato e scosso dal vento. Era ferma, immobile. Non un movimento, non un battito di ciglia. Il viso era duro e crudele. Gli occhi neri erano contornati da una corona rossa e luminosa come un anello di fuoco. Non riuscivo a non fissarli e sapevo che più avessi continuato a guardarli e più ci sarei caduta in fondo. Non avrei più avuto altre possibilità per distogliere lo sguardo. Sbattei le palpebre più volte e riuscii a staccare i miei occhi dai suoi.
Nicnivin Quiete, regina delle tenebre, temuta dai Celti, stava di fronte a me e mi sfidava.
L’abito scuro rifletteva mille bagliori di oscurità. Le mani, abbandonate lungo i fianchi, aspettavano solo il momento buono per togliermi di mezzo. Un tocco e sarei stata tutto ciò che lei avrebbe voluto. Un maiale, una gallina, un mostro senza nome. Feci due passi indietro e chiusi gli occhi per ricordare meglio il viso del mio avo e la sua determinazione.
“Lascia che ti abbracci.” Disse in un sussurro soave.
Non dovevo cedere alla sua voce carezzevole. Tenni gli occhi chiusi e sentii l’amuleto farsi leggero a caldo tra le mie dita.
Credo che lei capì solo in quel momento di avere a che fare con una purificatrice e non perse tempo.
Un’ondata potente e gelida mi avvolse e mi sollevò da terra. La sua vera immagine divenne improvvisamente chiara. Il viso solcato da profonde rughe, la bocca distorta in un urlo di rabbia. I capelli si alzarono sopra di lei come se fosse immersa in un liquido e fu proprio quel liquido magico che mi avvolse di colpo, lasciandomi sospesa per aria. Lo sentii premere sulle labbra. Non respirai. Rimasi in apnea, cercando di non farmi prendere dal panico. L’illusione che diveniva realtà. Il liquido che diventava un mare pronto a pretendere la mia vita. Non respirai e cercai di non muovermi troppo. L’amuleto divenne bollente sotto le mie dita. Solo allora lei lo vide. Solo allora lasciai che lei lo vedesse.
Un urlo improvviso, di rabbia e frustrazione percosse l’intero mondo. Tutto sembrava vibrare e piegarsi sotto quell’urlo.
“Credi di potermi piegare al tuo volere forse? Per troppo tempo ho agognato di poter tornare su questa terra e non sarà una sciocca umana a distruggermi!”
Come darle torto?
L’amuleto vibrò e si sollevò dal mio petto, richiamato dal potere che sentivo crescere dentro di me. Io non sarei stata nulla senza quell’antico monile e lui non sarebbe stato nulla di più di un monile senza di me. Due tessere di uno stesso mosaico che si erano trovate a formare il disegno completo.
“Tu verrai con me! Sarai mia per sempre. La mia schiava. La mia schiava umana. Nulla potrai fare per salvarti. Tu non sei lui!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola e nel tono percepii per un attimo, una sorta di timore.
Non potevo risponderle a causa del liquido che ancora mi avviluppava, denso e freddo, ma se avessi potuto, le avrei detto che era anche per lui che invece l’avrei uccisa per sempre.
Non sapevo chi ero. Non ancora almeno, ma sapevo chi era il mio bisnonno e sapevo che era morto per assicurare Nicnivin al suo mondo. Ora toccava a me, ma non mi sarei limitata a rispedirla dietro quella porta.
Per la prima volta in vita mia, sentii davvero qualcosa che da dentro, si riversava sulla mia pelle. Qualcosa di strisciante e caldo. Qualcosa di forte e vibrante che scivolava sulla mia pelle ed entrava nell’amuleto. Lo guardai e riuscii persino a percepirne il colore rosato con venature azzurre.
La rabbia che avevo dentro non l’avevo mai conosciuta. Un improvviso bisogno di uccidere s’impossessò di me.
Nicnivin levitò, aprendo le braccia, e centinaia di pagliuzze iridescenti scaturirono dai suoi occhi e dalla sua bocca, aperta tanto da poter contenere il mondo intero. Mi arrivarono addosso e come miliardi di coltelli minuscoli e appuntiti mi ferirono facendomi gridare di dolore. Il liquido entrò nella mia bocca, denso come miele e mi sentii subito soffocare. Osservai le pagliuzze conficcarsi nella carne e farsi strada come fossero vive e affamate. Sembravano divorarmi con denti aguzzi e invisibili. Cercai di buttare fuori il liquido.
La sola cosa che mi permise di non cedere, di non perire, fu la distinta visione della Villa. Maestosa e severa. Sembrava osservare, in attesa di poter fare la sua mossa. Un angelo dormiente in attesa di poter fare qualcosa.
Quello era stato il mio errore. Avvicinarmi a lei e allontanarmi dalla Villa, facendo esattamente quello che lei sperava che facessi.
Il dolore era immenso e atavico. La vista mi si annebbiò e mi sentii scivolare lontano, trasportata dal mare illusorio.
Nicnivin mi fu subito addosso.
Osservai le sue mani avvicinarsi a me come in un’immagine al rallentatore. Le vedevo avvicinarsi e percepivo il gelido potere che mi lambiva. Un solo tocco e sarei stata perduta per sempre. Mi dissi che dovevo reagire, ma mi mancavano le forze. Gli occhi si chiudevano. Il mondo sbiadiva e le sue mani erano l’unica cosa che vedevo. Le unghie lunghe e grigie. Il suo viso ghignante e terribile.
La Villa, pensai. Devo avvicinarmi alla Villa.
Le mani… ad un solo centimetro da me. Cosa sarei diventata dopo il suo tocco?
L’amuleto vibrò ancora e questa volta tanto forte da far vibrare tutto il mio corpo.
Fu un attimo.
Quasi non me ne accorsi.
Si frappose fra il mio braccio e le dita di Nicnivin strappando la catenina alla quale era appeso. Nicnivin urlò di dolore e stupore portandosi la mano fumante e coperta di piaghe, al petto.
Il furore che le leggevo sul volto era impossibile da spiegare. La sua energia vacillò e le illusioni create scemarono lasciandomi cadere a terra.
Il salto non fu piacevole e atterrai a terra come un sacco. Non ascoltai il dolore alle gambe.
Ascoltai solo la voce della mia anima.
Ascoltai la voce della Villa.
Corsi prendendo fiato a pieni polmoni. Quel fiato che mi era mancato per così tanto tempo che nemmeno lo ricordavo. Non ero morta perché l’amuleto mi aveva protetta, ma ci ero andata molto vicina e non volevo ripetere l’esperienza.
Corsi inciampando nei miei stessi piedi, sentendo dietro di me il vento gelido di Nicnivin.
Corsi e l’abbraccio della Villa mi accolse e mi stupì.
Ferma, immobile, maestosa e avvolta da un alone di mistero. Stava lì e aspettava.
Fu la volta di Nicnivin di commettere un errore.
Troppo presa dalla sua corsa e spinta dalla sete di vendetta, non si accorse di essere troppo vicina alla porta.
Mi volai, inspirai a pieni polmoni, presi l’amuleto tra le mani e lo alzai verso il cielo.
Un lampo sopra la Villa illuminò per un momento l’intero parco. Nicnivin indietreggiò, ma sentii distintamente la forza possente della Villa che l’attirava a se. Era come un pesce intrappolato nella rete. Si dibatteva senza alcun risultato. Il fulmine attraversò ancora il cielo. Il mio potere serpeggiò violento sulla pelle e venne canalizzato dall’amuleto.
Il fulmine e la mia energia si unirono in un unico fascio di luce azzurra.
Si aprì come una crepa, che dal nostro mondo portava in qualcosa che era meglio non conoscere. Nicnivin fu risucchiata in un vortice argenteo e la porta si chiuse sulle sue ultime parole.
“Tornerò e per te sarà la fine!”
Non riuscii ad ucciderla. Non ne ebbi il tempo e forse la Villa non lo volle.
Forse la voleva per se, viva.

La copertina è stata scelta!

La copertina che ha maggiormente incontrato il favore "del pubblico" è stata senza dubbio la 3!!!

Clelia e Willelm

Voglio parlarvi di questi due personaggi, che sono i protagonisti dei racconti che scrivo per Cuneo cronaca, il giornale online di Cuneo.

Clelia è una ragazza solitaria, testarda e determinata. Orfana, è stata cresciuta dal nonno che non era un semplice uomo, ma un "purificatore ", un uomo dotato di particolari poteri che gli permettevano di entrare in contatto con tutti i mondi esistenti e di anientare ogni spirito e ogni essere malvagio.
Clelia ha ereditato questa dote, ma nel periodo più cupo della sua vita, è stata portata al limite ed ha tentato il suicidio. In realtà non era lei a volerlo...
C'è un'altra anima dentro di lei... ma chi è questo Willelm e come ha fatto ad entrare nel suo corpo?
Convivono queste due anime, nello stesso corpo e Clelia non è più solo una purificatrice, ma anche una rinata.
Clelia e Willelm si ritrovano a vivere avventure terrificanti e pazzesche, nelle splendide vallate di Cuneo.

martedì 11 dicembre 2007

I miei libri per Natale

Prima di tutto voglio comunicare che la copertina che ha avuto maggior successo è certamente la versione n° 3... quella più rossa per intenderci.
Una vittoria schiacciante direi.

Oggi ho ordinato il mio regalo di Natale e cosa poteva essere se non dei libri?

Sono 3 e non vedo l'ora di leggerli!
E' più di un mese che non leggo e comincio a sentirne proprio la mancanza.
Purtroppo o per fortuna sono in un periodo abbastanza creativo e tra il disegno e la scrittura non mi è rimasto altro tempo.
Ho quasi terminato un altro romanzo e spero di concluderlo entro metà gennaio al più tardi.
Poi ci sarà finalmente la revisione di La sesta era e sto scrivendo articoli e racconti per alcuni giornali di Cuneo (sia cartacei che online), ma ho tutte le intenzioni di prendermi un periodo di pausa dai romanzi (dallo scrivere intendo) e leggere un po'.

Vi starete domandando quali libri avrò mai comprato...
Ebbene, fino a qualche anno fa mi sarei recata in libreria, avrei dato un'occhiata alle varie copertine di autori stranieri e avrei quasi certamente acquistato quei romanzi che andavano per la maggiore. I più citati, pubblicizzati, comprati...
Ma ora è tutto diverso.
Scrivendo, ho avuto modo di conoscere persone straordinarie che sanno scrivere, sono italiane e non godono ancora di molta fama.
I miei libri per Natale saranno i loro. Li leggerò e se potrò farò anche delle recensioni per i giornali per cui scrivo.

Uno è di Mauro Saracino - La casa del demone - Asengard edizioni - horror

Un altro è di Christian Antonini - Legame Doppio - Asengard edizioni - horror

E l'ultimo è una trilogia di cui ho tanto sentito parlare (in bene e in male) e che mi incuriosisce : Cronache dal mondo emerso di Licia Troisi - fantasy.
Sarei più felice di comprarlo se fosse un'emergente di una piccola casa editrice, ma per sua fortuna non è così.

mercoledì 5 dicembre 2007






Ecco le tre versioni della copertina.



Ditemi quale preferite: la 1, la 2 o la 3




Buongiorno a tutti!!!

Ieri sera mi ha telefonato Laura (Il Filo) avvertendomi che sarà lei a curare la correzione del mio romanzo e che a giorni mi sarà inviato il file!!!

Evviva!!!


Eccovi l'immagine della copertina (fatta da me).

E' ancora da terminare, ma questa è l'idea. Ditemi cosa ne pensate.


lunedì 3 dicembre 2007

Copertina

Ragazzi, vorrei tanto farvi vedere la copertina del mio libro, ma sono troppo impedita e non so come postarla nè come fare a fare in modo che non si possa copiare.
Il buon Glauco me l'ha spiegato, ma io vivo ancora nel secolo scorso e non ho capito proprio come si fa...
Quindi tre sono le possibilità:
1) Il buon Glauco mi prende per mano e mi spiega tutto come se fossi una donna delle caverne
2) Il buon Glauco lo fa al posto mio :))))))))
3) Il buon Glauco mi manda a quel paese :(((((((

Bacioni grandi grandi a tutti!!!